Anche senza Kevin Costner, il finale di Yellowstone è la perfetta quadratura del cerchio

Siamo onesti: in pochi credevamo che, in questi quasi due anni di pausa che hanno separato i due blocchi di puntate che hanno chiuso (si fa per dire, visti gli spin-off già rumoreggiati per il futuro) le sorti della famiglia Dutton, il finale di Yellowstone avrebbe regalato a noi spettatori un'esperienza in grado di ripagare anni e anni di fedeltà alla creatura di Taylor Sheridan e John Linson.

D'altronde, quando la star che viene più facilmente identificata e accostata con una data storia di natura seriale se ne va per questo o quel motivo, i risultati pessimi poi si vedono con chiarezza, come il lontano orizzonte del mare in un giorno del tutto privo di umidità.

Possiamo anche discutere per ore o giorni interi sul fatto che il licenziamento di Kevin Spacey da parte di Netflix avvenuto in seguito alle accuse di molestie sessuali verso l'attore sia stata una mossa sacrosanta o una caccia alle streghe preventiva, ma una cosa è sicura: nessuno potrà mai dire che la sesta stagione di "House of Cards", quella che si apre con la misteriosa morte di Frank Underwood, sia all'altezza delle precedenti. Per usare un'espressione trita: non riesce neanche ad allacciare le scarpe alle cinque che l'hanno preceduta.

Con Yellowstone, non c'è alcuna storia di comportamenti inappropriati dal punto di vista delle attenzioni sessuali, ma il testa a testa fra due persone, il due volte premio Oscar per "Balla coi lupi" Kevin Costner e il deus ex-machina della serie Taylor Sheridan, che hanno un ego grande come il Piemonte e la Lombardia messi insieme.

Non staremo qua a perdere troppo tempo raccontando aneddoti riportati in ogni dove sul web dalle testate di settore e non. Per quelle poche persone rimaste all'oscuro: in corti discorsi, la produzione di Yellowstone non è riuscita ad allinearsi con gli impegni di Costner per il suo western in quattro parti, "Horizon - An American Saga", e così le ultime sei puntate della serie sono state girate senza di lui. Aggiungete a tutto questo un corollario di frecciatine reciproche fra i due lanciate a mezzo stampa e avrete un quadro più completo della cosa.

Alla fine, il vincitore della faida è indubbiamente Taylor Sheridan che, oltre ad averci regalato un epilogo decisamente soddisfacente, continua a macinare milioni e milioni di dollari con le sue produzioni targate Paramount, mentre Kevin Costner ha visto floppare miseramente la prima parte del suo Horizon, ritrovandosi fra le mani un secondo capitolo la cui uscita in sala è stata brutalmente cancellata da parte della Warner. E a questo punto il destino delle parti 3 e 4 appare anche più incerto.

Yellowstone 5: dove eravamo rimasti

Sono trascorsi circa 20 mesi dall'arrivo su Sky Atlantic e NOW dell'ottava puntata di Yellowstone 5 quindi vale la pena fare un secondo il punto della situazione.

Avevamo lasciato il governatore John Dutton e la sua famiglia intenti a contrastare il volere della Market Equities e del figlio reietto Jamie Dutton che, con il supporto della spietata Sarah Atwood, stavano proseguendo le loro macchinazioni per riuscire a prendere possesso del ranch di famiglia con l'obbiettivo di trasformarlo in una località turistica dotata di resort, aeroporti e tutto quel genere di cose in grado di alterare per sempre l'equilibrio ambientale, sociale ed economico di quel grande e selvaggio angolo di Montana.

Nell'ultima puntata, dopo un acceso confronto con sua sorella Beth, Jamie chiedeva a Sarah di ingaggiare dei professionisti per eliminare suo padre John.

La puntata numero nove si apre subito con gli effetti di questo desiderio che, a quanto pare, il sempre codardo e viscido Jamie non voleva davvero attuare. Il problema è che quella che nel frattempo era anche diventata la sua partner, l'aveva preso alla lettera.

Il patriarca dei Dutton viene ritrovato morto in uno dei bagni della sua residenza di Governatore. Sembra trattarsi di un suicidio: l'uomo si è fatto esplodere la testa con un colpo di pistola. Per i suoi figli, Kayce e Beth, appare subito chiaro che i fatti non potevano davvero essersi svolti in quel modo. Un combattente come John Dutton non avrebbe mai scelto di uscire di scena così.

Ed è così che inizia la fase finale della battaglia per la salvaguardia dello Yellowstone ranch e di tutto quello che rappresenta.

Un finale vibrante e coerente con lo Sheridanverse

Gli americani, per indicare qualcosa di non semplice che viene portato a termine in bellezza e, magari, contrariamente a delle aspettative al negativo, sono soliti impiegare l'espressione idiomatica “stick the landing”. Che potremmo tradurre in linea di massima con atterraggio riuscito.

Ecco, malgrado tutto quello che di deludente potevamo attenderci da Yellowstone 5B, Taylor Sheridan ha dimostrato, ancora una volta, di essere un gran affabulatore riuscendo a strecciare tutti i nodi.

Cominciamo dall'elefante nella cristalleria: l'uscita di scena di John Dutton. Che il personaggio di Kevin Costner fosse destinato a morire male è storia nota, presagita fra l'altro in più di un momento nel corso delle varie stagioni. Sicuramente, quanto accaduto nel dietro le quinte della produzione ha portato Sheridan a rimaneggiare (Un po'? Tanto? Non ci è dato sapere) le modalità della sua dipartita e la gestione degli effetti narrativi collaterali, ma, paradossalmente, è finito per tracciare ancora di più i tratti di un personaggio amatissimo dal pubblico ma con una moralità e una coscienza non proprio cristalline. E che, anzi, è stato, con la sua ostinata testardaggine, il primo colpevole della caduta della Casa dei Dutton, per parafrasare Edgar Allan Poe. Un padre padrone che ha tenuto in ostaggio i propri figli, vittime di una personalità e una serie di ricatti morali di non poco conto, così come tutti i loro possedimenti terrieri. Poi asi sa come vanno queste cose con i film e le serie TV: data la caratura di un artista come Kevin Costner era impossibile per il pubblico non restare affascinato dal suo carisma, dal suo amore genuino verso uno stile di vita fuori dalla contemporaneità. Chiaroscuri, chiamiamoli così.

In queste ultime sei puntate, Taylor Sheridan si prende anche la briga di concedersi tutto il tempo necessario a spiegare nel dettaglio quello che è accaduto durante la notte in cui John Dutton è stato eliminato e non era affatto scontato tenuto conto del bisogno che aveva di chiudere tutte le linee narrative rimaste in sospeso.

Delle linee narrative dove quasi tutti i personaggi che se lo meritano possono godersi un agognato lieto fine dopo una sfilza infinita di tribolazioni, chi deve morire muore (anche in malo modo, come è giusto che sia) e dove i vari membri del cast regalano delle performance di livello.

Probabilmente però questo finale di serie regala a Gil Birmingham, l'interprete del capo della comunità nativa Thomas Rainwater, la possibilità di brillare di luce propria perché Yellowstone, in ultima istanza, una volta tolte tutte le esagerazioni pulp e da soap opera western, è sempre stato un racconto di terre, di natura e del rapporto che lega le persone a un determinato habitat, quello di frontiera del Montana nello specifico. Sia di quelle persone che le hanno abitate da sempre, quelle terre, e se le sono viste togliere con la violenza e il raggiro, sia di quelle che l'hanno conquistate e hanno capito, in corso d'opera e con l'avvicendarsi delle generazioni, l'importanza del legame indissolubile che deve esistere fra gli uomini e gli ambienti incontaminati. Vedere come Gil Birmingham vive le vibranti emozioni di un Rainwater di nuovo custode delle terre dei suoi antenati in un finale dove, a sorpresa, possiamo tornare ad ascoltare il voice over della Elsa Dutton interpretata da Isabel May che ci regala la proverbiale quadratura del cerchio con la storia racontata nel prequel 1883 è spiazzante e carico di pathos.

E la dimostrazione che, con o senza Kevin Costner, nella dottrina del Destino Manifesto del "modern western" c'era scritto che il finale di Yellowstone sarebbe stato comunque una vittoria su tutta la linea per Taylor Sheridan.

Voto: 8

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